Anticoagulanti Orali e ridotto rischio di demenza e ictus in pazienti con fibrillazione atriale


La terapia anticoagulante orale (TAO) è indicata nei pazienti con fibrillazione atriale se il rischio tromboembolico, valutato mediante lo score CHA2DS2-Vasc  è superiore a 1.

Per esplorare l’eventualità che la Terapia Anticoagulante Orale possa esercitare un effetto protettivo sugli eventi cerebrovascolari anche nei soggetti a basso rischio (CHA2DS2-Vasc ≤ 1), è stata condotta una indagine retrospettiva utilizzando il National Patient Register, un database che comprende dati clinici provenienti dalle strutture ospedaliere e ambulatoriali (non dalla medicina generale) riguardanti l’intera popolazione svedese.

Sono stati individuati oltre 450.000 soggetti con diagnosi di fibrillazione atriale tra il 2006 e i 2014 di cui 91.254 esenti da demenza, ictus ischemico, emorragia intracranica o TIA e con punteggio CHA2DS2-Vasc ≤ 1 (non considerando il punto attribuito al sesso femminile). Nonostante il basso profilo di rischio tromboembolico, il 43% di questi pazienti risultava in trattamento con un anticoagulante orale (prevalentemente un anti-vitamina k, nel 7.5% un anticoagulante orale diretto). A partire da questa coorte, utilizzando la tecnica statistica del “propensiy score matching” per minimizzare l’effetto di molteplici possibili confondenti, sono stati individuati due gruppi di 23.746 pazienti rispettivamente in trattamento con TAO o non in trattamento con TAO (No TAO).

Nel corso di un follow-up medio di 4.7±2.8 anni, è stata valutata l’incidenza di demenza, ictus ischemico, emorragia intracranica e di un outcome composito comprendente le tre suddette patologie.

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La terapia anticoagulante è risultata avere un effetto protettivo nei confronti della demenza, con una riduzione relativa del rischio del 38%, mentre non si è osservata una differenza significativa tra i due gruppi per quanto riguarda il rischio di ictus ischemico o di emorragia intracranica.

Un effetto protettivo è emerso anche per l’outcome composito, con una riduzione del rischio del 12% che, stratificando i pazienti per fasce di età, è apparsa totalmente a vantaggio dei pazienti di età superiore a 65 anni. Nei soggetti di età compresa tra 60 e 65 anni si è osservata una riduzione non significativa del rischio mentre nei soggetti di età inferiore a 60 anni, particolarmente in quelli con CHA2DS2-Vasc = 0) la TAO è apparsa associata ad una maggiore incidenza di eventi.

Confrontando i pazienti trattati con anti-vitamina K con quelli trattati con anticoagulanti diretti, si è osservata in questi ultimi, una incidenza di eventi inferiore, ma non in misura statisticamente significativa, e l’assenza di casi di emorragia intracranica a fronte di 3 casi nel gruppo trattato con anti-vitamina K.

Non è stato possibile valutare eventuali differenze relative alla natura parossistica, persistente o permanente della fibrillazione perché la codifica dei sottotipi era largamente sotto-utilizzata nel database. Considerando che sono stati studiati pazienti a basso rischio, è verosimile che una significativa proporzione di essi presentasse una forma parossistica all’atto dell’arruolamento. Tuttavia bisogna anche considerare che, data la sua natura progressiva, la fibrillazione sia evoluta in molti casi in una forma permanente durante il lungo periodo di follow-up previsto dallo studio.

Gli autori concludono affermando che, considerando anche la demenza, otre agli eventi cerebrovascolari acuti, il beneficio della terapia anticoagulante orale appare estendersi a tutti i soggetti di età superiore o uguale a 65 anni, indipendentemente dal punteggio CHA2DS2-Vasc. La fascia di età compresa tra 60 e 64 anni rimane, invece, un’area grigia nella quale la decisione di trattare o non trattare deve scaturire da una valutazione individuale di rischi e benefici e dalle preferenze del paziente.

Se questi risultati fossero confermati la stratificazione del rischio tromboembolico mediante il punteggio CHA2DS2-Vasc perderebbe di importanza ai fini della indicazione alla terapia anticoagulante, mentre l’età resterebbe il principale se non l’unico fattore discriminante.

Fonte: Less dementia and stroke in low-risk patients with atrial fibrillation taking oral anticoagulation.  European Heart Journal (2019) 0, 1–9 doi:10.1093/eurheartj/ehz304